“I
livelli di criminalità violenta sono rimasti elevati. Le autorità hanno
risposto ricorrendo spesso a un uso eccessivo della forza e a torture. Giovani
uomini di colore hanno continuato a costituire una percentuale
sproporzionatamente elevata tra le vittime di omicidio. Sono pervenute notizie
di tortura e altri maltrattamenti nel sistema carcerario, caratterizzato da
condizioni crudeli, disumane e degradanti. Braccianti agricoli, nativi e
comunità quilombola (discendenti di schiavi fuggitivi) sono stati vittime di
intimidazioni e aggressioni. Sono rimasti motivo di grave preoccupazione gli
sgomberi forzati, sia negli insediamenti urbani che nelle campagne”.
Quello che ho
riportato è il paragrafo introduttivo al rapporto 2013 di Amnesty International
riguardo alla situazione dei diritti umani in Brasile: in poche righe già si
percepisce la criticità della situazione in cui si trova il Paese [1] .
Ora, parlare di diritti umani in
Brasile significa aprire una parentesi piuttosto ampia. A livello federale come
a quello statale esistono vari uffici e nuclei che agiscono per la tutela dei
diritti umani: tra i più importanti menziono la Segreteria dei Diritti
Umani dello Stato (SEDH), le sezioni diritti umani di Difensoria Pubblica,
Ministero Pubblico e OAB (Ordine degli Avvocati), il Movimento Nazionale dei
Diritti Umani (MNDH) e la
Società dei Diritti Umani (SMDH).
Parlando di tutela del cittadino
esistono, inoltre, nuclei specializzati all'interno della polizia per la difesa
della donna e dell'infanzia e adolescenza: esistono l'ECA (Statuto dell'infanzia
e dell'adolescente) e la legge “Maria da Penha” che hanno come obiettivo,
rispettivamente, la creazione di meccanismi per ridurre la violenza domestica e
familiare contro la donna e la protezione integrale del bambino e
dell'adolescente.
Passando a descrivere la questione
agraria, il cosiddetto “problema della terra”, e la situazione, molto diffusa
nello stato del Maranhão, degli espropri forzati o sotto minaccia di morte,
cito, solo per dare un'idea, la richiesta da parte di Amnesty International,
che risale a pochi giorni fa, di includere nel programma di difesa della
Segreteria dei Diritti umani e della Presidenza della Repubblica, un camponês
(agricoltore) con la sua famiglia perché minacciati di morte da latifondisti e
venditori di legname interessati ad installarsi nella regione.
Ritornando al rapporto di Amnesty e
alla realtà quotidiana in cui viviamo, è facile rendersi conto che la sola
legislazione e gli interventi pensati non risultano sufficienti a tutelare i
cittadini e a contenere una situazione di violenza che, invece di diminuire,
sembra aumentare di giorno in giorno.
Le morti per assassinio nella nostra
città raggiungono una media di più di due al giorno per una popolazione di un
milione di abitanti: numeri assurdi e che spaventano se si pensa che il più
delle volte a morire sono giovani sotto i 25 anni e che gli assassini, d'altro
canto, rientrano nella stessa fascia d'età.
Sono storie che, purtroppo, ascoltiamo
tutti giorni: come quella della tragica morte di un giovane di soli vent'anni
che partecipava alla vita della nostra comunità, picchiato a morte in seguito
ad una lite, probabilmente legata a questioni di droga.
I Diritti Umani non sono solo una
teoria o una realtà distante: vengono, di fatto, ignorati quando un giovane non
ha molte altre possibilità di passare il suo tempo libero se non in strada,
rischiando di entrare nei giri della droga e dello spaccio; non sono rispettati
quando un adolescente resta a casa da scuola per più di un mese a causa di uno
sciopero dei professori o, come è successo l'anno passato, un bambino salta
lezione per quattro mesi di seguito senza che il sindaco o la governatrice
facciano qualcosa; sono dimenticati quando un uomo o una donna restano per
giorni senza farmaci e alimentazione all'interno degli ospedali pubblici;
vengono negati quando uscire di casa, a qualsiasi ora del giorno, è un pericolo
perché i livelli di sicurezza pubblica sono quasi inesistenti.
La realtà di una periferia come quella
di Cidade Olimpica è complessa e dura: nell'anonimato della moltitudine il
valore del singolo sembra perdere sempre più significato e, inserito nel mare
magnum dei problemi, il diritto della persona appare del tutto marginale.
Il vuoto delle istituzioni è un dato di
fatto, è concreto: se da un lato, infatti, ci sono la legge e le regole che non
vengono sempre rispettate,
la corruzione, i meccanismi che
non funzionano, dall'altro ci sono le persone, le donne, i bambini, i giovani,
gli anziani. Sono loro che incontriamo
tutti i giorni, con le loro necessità reali, con i loro problemi quotidiani. È
per loro, perché la dignità della persona venga rispettata, che siamo chiamati
a fare qualcosa.
Jean Vanier [2]
in un suo libro scrive che
“quando ci alleiamo agli esclusi della società, non solo diventiamo capaci di
vedere le persone come persone e di unirci a loro nella loro lotta per la
giustizia, di lavorare a favore della comunità e dei luoghi di connessione, ma
sviluppiamo anche gli strumenti critici per vedere quello che di sbagliato
esiste dentro la nostra stessa società (…) Diventare amico di una persona
marginalizzata, esclusa, è un atto di auto-esilio dalla maggior parte del
mondo. È liberatore, è un atto di libertà”.
In poche parole, vivere e lavorare a
fianco di chi è escluso, di chi, come direbbe una certa pedagogia, è oppresso e
accettare di lasciarsi toccare dalla vulnerabilità altrui, entrando in
contatto, in questo modo, anche con la propria, è già un punto di partenza per
il cambiamento. Cambiamento che deve succedere prima di tutto nel nostro modo
di pensare, nelle nostre convinzioni, nelle nostre teorie sulla vita, nel
nostro modo di vedere la società, nel percepire le reali necessità riordinandole
secondo una nuova scala.
Non posso scegliere di allearmi agli
esclusi senza, naturalmente, rivedere il contesto in cui questa esclusione si è
creata, senza sentire la necessità di occupare il mio posto all'interno del
grande quadro: è una decisione privilegiata e credo che questa, probabilmente,
sia la più grande rivoluzione che un'esperienza come la nostra ci sta
insegnando a compiere.
Quando sentiamo dire che il nostro
lavoro, per quanto di buon cuore, resta inutile perché i risultati non sono
visibili o perché le persone “non le cambi”, mi sento di rispondere che per chi
crede nella persona e nell'essere umano nulla che sia fatto in prospettiva di
un miglioramento e con uno spirito di cooperazione sia senza valore, o in vano.
Forse, veramente l'importante è cercare
una direzione, cominciare a camminare e seminare:
è vero, noi non raccoglieremo i frutti ma abbiamo fiducia che qualcosa, da
qualche parte, crescerà.
[1] solo per fare un rapido confronto bisogna ammettere che la
realtà non è così rosea neanche nel nostro di Paese: discriminazione contro gli
stranieri, assenza di una legge che sancisca e punisca la tortura,
discriminazione di genere contro le donne e omofobia sono alcuni dei punti
evidenziati nel rapporto sull'Italia ( per chi voglia approfondire rinvio alla
pagina su internet http://rapportoannuale.amnesty.it/2013 ).